La cultura in Italia è spesso vista come qualcosa di statico, polveroso, antico; invece si può, con impegno, perseveranza e un po' di passione, farla diventare una professione.
Anna D'Amico è una giovane professionista che a Firenze si occupa di fundraising e promozione di eventi culturali: dal Festival della Creatività di Firenze a quello dell'economia ecologica di Piombino.
Quella del fundraiser per la cultura è una professione relativamente nuova, sostiene Anna D'Amico che si definisce manager culturale: "Una via di mezzo tra uno psicologo e un agente di commercio, in alcuni casi un eroe, spesso un piccolo Don Chisciotte".
Anna non si è improvvisata in questo ruolo: ha studiato marketing, content management, si è aggiornata sulle novità della comunicazione e non perché con la cultura non si mangi, ma perché "se la ami veramente, capisci che la cultura ha bisogno di chi la guidi nel futuro, per smettere di essere l’ultima della fila", prosegue D'Amico.
I tempi però sono difficili: la congiuntura economica ha reso ancora più forte lo ‘scontro’ tra sostegno alla cultura e attività di charity (è più facile trovare donatori per un reparto pediatrico che sostenitori per uno spettacolo teatrale).
In Italia, inoltre, le agevolazioni fiscali sono ancora limitate in questo settore; a ciò si aggiunge il fatto che tradizionalmente da noi le donazioni sono state sempre inferiori a quelle di altri paesi.
Ma com'è il lavoro di chi cerca fondi per la cultura? "Chi lavora in questo settore vive spesso un forte stress emotivo, in quanto sente il peso della realzzazione e del successo del progetto, e questo comporta un’esposizione sul piano personale non sempre facile da tenere a bada. Un successo può essere seguito da numerose delusioni: io la chiamerei sindrome da montagne russe…." sostiene D'Amico. Inoltre il compenso è spesso legato alla riuscita del lavoro e consiste in una percentuale sulla somma che lo sponsor destina al progetto (tra il 10 e il 20% a seconda degli accordi); non sempre è previsto un rimborso spese. "Molti miei colleghi durante il 'periodo nero' del 2008-2010 hanno deciso infatti di trasferirsi all'estero: questo è un lavoro con poche certezze e sicure difficoltà" precisa D'Amico.
Ma in Italia, la "culla" della cultura mondiale, la cultura non dovrebbe ricevere più attenzione da parte del pubblico? "Paradossalmente da noi la cultura è una risorsa penalizzata nell’amministrazione pubblica: è la prima ad essere ‘tagliata’ nel caso in cui i conti non tornino” dichiara D'Amico, “anche se cominciano ad affermarsi esempi di amministrazioni con un ruolo attivo di mediatore tra impresa e realtà culturale”. L’università italiana, in particolare le facoltà umanistiche, continua a formare molti giovani con competenze specifiche e destinati a questo settore.
(Nota mia: incontro spesso, nei corsi rivolti ai nuovi imprenditori, neolaureati in discipline umanistiche che vogliono diventare imprenditori e mi rendo conto di quanto siano impreparati, sia a livello emotivo che di conoscenze, a ciò che significa la vita dell'azienda; non per loro colpa, ovviamente, ma la loro mentalità è solitamente lontanissima a quella di chi deve prima di tutto ottenere un profitto.)
E per quanto riguarda il mondo delle imprese, è difficile convincerle a finanziare progetti culturali? "La piccola e media impresa guarda sempre di più al suo territorio, anche se a volte l'imprenditore o il manager esita a mettere la firma su un accordo con una cifra; per giustificare un investimento in cultura l'imprenditore ha bisogno di essere un po' rassicurato", sostiene D'Amico, "tuttavia in questi ultimi tempi mi sembra che stia iniziando una nuova stagione: anche grazie ai social media, per l’impresa il cliente non è solo quello che compra e paga, è anche l'amico, il fan. Le aziende capiscono che si può raggiungere e coinvolgere questo cliente non solo con la pubblicità ma anche con iniziative di taglio culturale che toccano le sue corde emotive". Impresa e cultura non sono così lontane: entrambe ‘agiscono’ guardando al futuro (il festival da organizzare, lo spettacolo da mettere in scena, il nuovo prodotto o servizio da lanciare, un nuovo settore di mercato da sviluppare).
Secondo D'Amico la cultura può trarre beneficio da una "contaminazione" con il marketing e la comunicazione, e viceversa: anche io sono convinta che il marketing è, in un certo senso, non solo un processo logico e razionale, ma anche un po' un'arte. Capire quale prodotto proporre, a quale cliente, mediante quale strategia di comunicazione, può essere non solo frutto di studio e di "scienza" ma anche di un'intuizione quasi artistica.
E per il futuro, su cosa puntare? "Occorre secondo me sviluppare il crowdfunding: un sistema di finanziamento che arriva dal basso, da micro-sostenitori, che condividono il progetto e decidono di investire in base alle proprie possibilità (un interessante esempio italiano: http://www.eppela.com/)" sostiene D'Amico. Le associazioni che lavorano sui progetti culturali devono creare una rete di sostenitori (“soci”, “amici di”…..) con cui stabilire una relazione costante, un vero engagement (newsletter, pagine Facebook, profilo Twitter ecc….); in questo, Internet e i social media forniscono un grande aiuto a un costo accettabile.
"Inoltre la cultura può (e deve) offrire dei servizi nel campo della formazione e farlo con grande creatività: lezioni di musica per over 50, corsi di pittura o teatro per bambini, programmi di alfabetizzazione all’arte per ingegneri, manager o persone che vivono in condizioni di difficoltà sociale, un esempio è il MoMA Alzheimer’s Project a New York e l’analoga iniziativa A più voci di Palazzo Strozzi a Firenze" prosegue D'Amico.
Quella del manager culturale è una professione difficile, complessa, ma densa di soddisfazioni; un esempio è il progetto "Musica in Ospedale", curato da Agimus Firenze, un’iniziativa nata nel 1999 all’interno dell’ospedale fiorentino di Careggi ed ‘esportata’ poi nell’ospedale San Donato di Arezzo e negli Spedali Riuniti di Livorno "E’ un piacere vedere ogni domenica, nell’auditorium di un ospedale, centinaia di persone che ascoltano un concerto di musica: una vera emozione", afferma D'Amico. Ora l'attende la ricerca sponsor di un Rigoletto. C'è qualche azienda che vuole offrirsi?
Complimenti per l'intervista, che centra un tema importante quale il cruciale incontro fra economia e cultura. Ho apprezzato soprattutto il livello alto delle domande, che però non si prestano alla semplice speculazione teorica, e allo stesso tempo le risposte dell'intervistata, che affronta il tema con competenza, senso pratico ed equilibrio fra contenuti culturali e pragmatismo manageriale, un equilibrio oggi difficile da trovare in manager prestati alla cultura troppo orientati alla vendita di un prodotto speciale (che neanche conoscono bene) o in dottissimi soprintendenti per nulla al passo con i temi della valorizzazione del patrimonio culturale.
Scritto da: Angela | giovedì, gennaio 12, 2012 a 09:21 p.
Mi ero interessato dell’argomento qualche mese fa, nell’organizzare un convegno nell’ambito di un gruppo di studio dell’Università, segnalo quindi un paio di link di possibile interesse, “Idee e strumenti per fare fundraising” http://www.fundraising.it e “il primo blog italiano sul fundraising”, eccone un articolo
http://www.valeriomelandri.it/2007/09/26/fundraising-formazione-trovare-sponsor/.
Scritto da: Alberto Riva | venerdì, gennaio 06, 2012 a 10:34 p.