Dopo alcune richieste in merito, pubblico qui la versione integrale dell'articolo che ho scritto per il blog del Corriere della Sera "Nuvola del lavoro", del 24 marzo 2012.
Commercialisti o banche: in questo periodo di grandi cambiamenti, chi può aiutare le piccole imprese a crescere? Prendo spunto da un recente articolo di Dario Di Vico che suggeriva aI “piccoli” di superare il tradizionale ricorso al commercialista per cercare appoggio e consiglio nelle banche
Cito testualmente: “Le Pmi in quest’epoca di grandi discontinuità non possono continuare a riversare tutte le loro attese nel rapporto con il commercialista di fiducia (come avviene ancor oggi secondo una recente ricerca di Roberto Weber), ma dovrebbero trovare in banca chi li aiuta a stendere un business plan, a mixare la presenza sul mercato interno con un po’ di export, a capire le potenzialità del mettersi in rete/dell’aggregarsi e magari chi li spinge anche a programmare la staffetta generazionale.”
Lo spunto è interessante e degno di riflessione. Come prova della sua fattibilità c’è il caso di Centro Marca Banca, un credito cooperativo della marca trevigiana che organizza corsi totalmente finanziati dall’Unione Europea e destinati alle aziende del territorio per sostenerle nel marketing, nell’export e nella crescita.
Ma è realistico che la banca assista il cliente nei suoi piani di sviluppo? Ed è vero che le aziende non trovano nel commercialista di fiducia sufficiente supporto nella gestione, al di là dei temi fiscali e tributari?
Ho rivolto queste domande ad alcuni imprenditori e quindi a commercialisti ed esperti del mondo bancario.
FB è un imprenditore brianzolo che preferisce rimanere anonimo; la sua azienda, 15 dipendenti, produce poltrone e divani: un“piccolo” che, a differenza di molti nel suo distretto, sopravvive e prospera in tempi di crisi e di concorrenza IKEA.
“Non tutti i commercialisti sono in grado di assistere l’azienda quando c’è da investire o ristrutturare: in genere si limitano a dichiarazioni e bilanci. Molti imprenditori dunque si rivolgono alle associazioni come CNA e Confapi che assistono l’azienda dove il commercialista non arriva” dice FB, che però ammette “non sempre le associazioni svolgono bene questi compiti”.
Potrebbe allora la banca assumersi questo ruolo di supporto alla crescita dell’impresa? “Sarebbe bello” risponde FB “ma la banca deve tornare prima di tutto a fare la banca e recuperare la credibilità persa in questi ultimi anni: è necessario che la banca faccia dei passi concreti per dimostrare che sostiene la piccola impresa”.
Concorda Sandro Casiraghi, imprenditore milanese nel settore delle pulizie e servizi integrati. “Il ruolo della banca è di sostenere i fabbisogni finanziari, non la gestione delle aziende. L’imprenditore deve essere in grado di fare i suoi conti e sviluppare I suoi progetti, altrimenti non è un vero imprenditore”. Ma che ruolo ha il commercialista nella crescita dell’azienda? Ecostilla occupa circa 200 persone e ricorre al commercialista solo per le dichiarazioni e i servizi tributari. “Non gli chiedo di assistermi nei piani di sviluppo: è un fiscalista, un contabile, non un esperto d’impresa” prosegue Casiraghi, che è drastico sul futuro “E’ inutile cercare aiuto fuori dall’azienda: complice la crisi, è in atto una selezione darwiniana e I “piccoli” che non sanno fare gli imprenditori sono destinati a sparire, lasciando un vuoto che non può che venire colmato da aziende straniere, di dimensioni medio-grandi, che arriveranno da noi a “colonizzare” intere fette di mercato; in molti settori, ad esempio i casalinghi, questo cambiamento è già in atto.”
Se Casiraghi non ne avverte la necessità, molti piccoli imprenditori continuano però ad appoggiarsi al commercialista che, secondo una recente ricerca di SWG, è tuttora la principale fonte di supporto gestionale (il 73% delle PMI si affida al commercialista, solo il 46% alle associazioni di categoria).
Ma può il commercialista sostenere l’azienda in uno sviluppo che non appare più rimandabile? “Nell’immaginario collettivo il commercialista è il professionista delle dichiarazioni dei redditi, mentre spesso notiamo che le imprese non sono dotate di adeguati strumenti di pianificazione economica, patrimoniale e finanziaria, ed è questa l’attività che ci permette di supportare l’imprenditore in un percorso di sviluppo” dice Francesca Novati dello Studio Costanzo e Associati di Milano, “Se ci limitiamo agli adempimenti fiscali e agli aggiornamenti normativi, il destino del commercialista sarà quello di scontrarsi con la concorrenza dei CAF che elaborano le dichiarazioni dei redditi in una logica da “catena di montaggio”. Per sostenere le imprese nei piani di ristrutturazione o nell’export, elementi che aggiungono valore al nostro supporto professionale, ci vogliono però competenze che non tutti gli studi professionali posseggono” ammette Novati, “ma se finora molti commercialisti hanno vivacchiato, la crisi metterà in luce il merito delle persone: anche per noi è arrivato il momento del “redde rationem” e la scrematura è già in atto”.
Gli studi chiudono o si ristrutturano per fornire servizi diversi da quelli tradizionali. Ma gli imprenditori come risponderanno a questo cambiamento dell’offerta? “ Il buon imprenditore i suoi conti li sa fare” sostiene Novati “anzi, molti non amano l’ingerenza del professionista (o del collegio sindacale, se presente) nella gestione: per molti il commercialista è quello che deve trovare il modo di far pagare meno tasse senza "rompere le scatole". Non tutti sono disposti ad accettare il nostro sostegno; per molte PMI è necessaria un’evoluzione culturale e un cambiamento di mentalità. Evoluzione che deve coinvolgere anche i nostri colleghi, molti dei quali fino a qualche anno fa si preoccupavano solo ed esclusivamente di minimizzare la penultima riga del conto economico (le imposte), quando oggi quello che conta è la prima riga (il fatturato) e la cassa prodotta”.
Se le imprese devono evolvere, e i commercialisti anche, può darsi che anche la banca debba assumere un ruolo più attivo nello sviluppo dell’impresa?
“E’ possibile, ma c’è un problema di ordine tecnico da superare: le banche hanno troppi clienti”, dice Fabio Bolognini, ex bancario e consulente finanziario per le PMI “Ogni gestore imprese ha in media 80-100 clienti: troppi per poterli seguire bene e fornire loro anche solo un minimo di consulenza.”
Oltre a ciò, le imprese hanno troppe banche. A differenza dei paesi stranieri, il sistema imprenditoriale italiano è multibancarizzato: ogni azienda lavora in media con almeno 3 banche, ma anche fino a 15, cosa che rende difficile instaurare un rapporto diretto con ognuna di esse. Per di più, il turnover del personale bancario fa sì che l’impresa spesso non riesca a imbastire neanche una conoscenza personale con il proprio gestore, figurarsi parlare di sviluppo. Ma perchè le imprese hanno così tante banche, e le banche così tanti clienti?
“Il motivo ufficiale è la dispersione del rischio: una regola non scritta dice che la banca non deve coprire più del 20% del fabbisogno finanziario dell’azienda” prosegue Bolognini, “ma questa è una stoltezza: se la banca ha tanti clienti il rischio è già disperso. Semmai è saggio non concentrare tutto il rischio su un solo settore merceologico, ma variare la tipologia di clienti serviti”.
Come potrebbe allora la banca erogare alle imprese i servizi gestionali suggeriti da Di Vico? “Le banche dovrebbero rivedere l’organizzazione interna migliorando l’allocazione del portafoglio imprese ai gestori e fornendo loro adeguata formazione sugli argomenti da affrontare insieme alle imprese, dalla pianificazione finanziaria al controllo di gestione fino all’export” sostiene Bolognini, “e ciò può senz’altro fornire alla singola banca un plus competitivo che la distingue dai concorrenti e restituire parte della credibilità perduta, ma occorre un forte cambiamento culturale, e questo spunto deve venire dai vertici bancari e da una decisione strategica di sostenere le PMI italiane nel loro complesso”.
La crisi ha attivato un cambiamento, ora si gira pagina. Il bisogno dei “piccoli” di crescere è evidente e molti, non trovandolo altrove, cercano sostegno nei propri fornitori, aziende medio-grandi che organizzano in proprio formazione e assistenza assumendosi un ruolo che non sarebbe strettamente il loro. Due esempi: Alsistem, consorzio di 10 produttori di alluminio per l’edilizia che propone ai clienti, artigiani serramentisti, formazione in ambito web e contabilità; Roland DG Mid Europe, periferiche per la grafica digitale, ha una propria “Academy” per assistere i "piccoli" nel trovare nuove nicchie di mercato e proporre al meglio la propria azienda alla clientela.
Commercialisti, banche, imprese; tutti devono evolvere per crescere e, possibilmente, anche per sopravvivere. Chi comincia?
(immagine: http://www.flickr.com/photos/41176276@N00/4645315811)
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